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Pré-Publication, Document De Travail Année : 2013

Plasticité du mythe antique et réécritures scéniques

Malleabilità del mito antico e riscritture sceniche

Résumé

Nel suo stupore tutto retorico di fronte ad una perennità, che rasenta l'onnipresenza dei miti antichi nella nostra cultura occidentale moderna, Peter Schnyder, curatore di un'opera collettiva recentemente dedicata alla mitologia antica e alle sue riscritture 1 (" Métamorphoses du mythe. Réécritures anciennes et modernes des mythes antiques ") si compiaceva ad evocare l' « inevitabilità dei miti in un'epoca che minaccia l'appiattimento, o meglio, l'inaridimento culturale ». Quest'epoca è la nostra. Quella che « fa vendere a Mida delle marmitte e ad Atena della biancheria intima da uomo» per riprendere l'espressione di Sven Ortoli redattore capo della rivista Philosophie magazine, secondo il quale " i miti greci ci hanno colonizzato " 2. Restiamo vigili. Come interpretare questa inevitabilità? Si tratta dunque di nomi di personaggi il cui potere evocativo è legato alla loro presenza in un patrimonio culturale mai dimenticato che evoca per noi un mondo di ricordi vaghi, talvolta incerti, ma pur sempre ricordi? O si tratta piuttosto di una presenza latente, di un'eredità culturale nel nostro incosciente collettivo, sepolta ma pronta a risorgere quando si tratti di riunire i nostri strumenti comuni? Si tratta, ancor oggi, di una presenza letteraria che traduce il nostro attaccamento a racconti sempre ricominciati, sempre riscritti, perché sempre da « da ricominciare » o sempre da riscrivere? Racconti che, di fatto, non cessano di interrogare la nostra cultura. Queste risorgenze suppongono che il mito comporti intrinsecamente o per essenza, un valore culturale. I miti potrebbero ben risultare essere soltanto innumerevoli variazioni su di un fondo stabile che riflette da sempre le domande esistenziali che gli uomini da sempre si pongono, come suggerisce la scuola storica e mitocritica. È dunque questo che costituisce la malleabilità del mito, questa permanenza delle domande essenziali sull'uomo e l'universo, come se dei miti «primitivi » avessero detto e fissato già tutto, e che la letteratura consistesse in variazioni su domande ricorrenti. È per questo che la scena italiana moderna continua a mostrarci Medee, Edipi, Alcesti ed Antigoni, ma anche dei Sinbad e delle Salomé? La nostra vigilanza consisterà precisamente nell'interrogare questo topos che ci spinge a credere che, attingendo incessantemente a questo fondo perenne della nostra cultura, la letteratura potrebbe andarvi a cercare quelle che potremmo chiamare le 'vere domande', scavando nel terreno di un vecchio fondo giudaico-cristiano. Questo significherebbe che il mito porta in se stesso una spiegazione di qualche cosa, che è tributario del « discorso su », transposto e transponibile di secolo in secolo, mutatis mutandis, senza che il passare del tempo, le mutazioni profonde delle nostre società, le evoluzioni politiche, religiose, morali possano alterare ciò che consideriamo come il suo « universalismo »? Possiamo davvero senza hybris approcciare i miti pagani o cristiani considerandoli come l'origine di una forma di pensiero o di una cultura occidentale? Un gran numero di studiosi dell'antichità si collocano oggi contro quest'ottica dell'Antichità 'all'origine di'; io vorrei oggi pormi in
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Citer

Marie-Hélène Garelli. Malleabilità del mito antico e riscritture sceniche. 2013. ⟨hal-01168666⟩
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